dalla prefazione di Pasquale Giustiniani
Attraverso questo libro continua felicemente a sopravvivere tra noi quella “parte” di Angelo Manna a cui siamo stati meno abituati dal giornalista “tormentoso” e dal “politico scomodo”, scomodo non soltanto all’ aula parlamentare e al suo stesso Partito di riferimento, ma a tutti coloro che egli chiama platealmente, sia nelle prime che nelle ultime pagine, “feccia”, e che non stanno soltanto al Nord o al Centro, ma anche al Sud. In queste pagine egli ricostruzione storica e culturale del “sentirsi italiani” rimanendo dei meridionali – anzi riscoprendo di esserlo stati da migliaia di anni, ben prima della conquista romana, della riconquista medievale e moderna -, risentiamo e riconosciamo ancora il deputato Angelo Manna. Quell’uomo che, replicando ad un sottosegretario di governo, analogò la partecipazione italiana alla guerra nel Golfo a quella che, “nel fatal Sessanta” aveva visto il galantuomo Vittorio Emanuele II di Savoia fare altrettanto contro il Regno delle Due Sicilie: stesso identico modo, se non peggio, e senza fare una piega pur a distanza di anni da quando queste pagine furono pensate e scritte.
Un interesse ancora più elevato suscita questo libro di Manna inoltre, non solo perché, attraverso la ricostruzione documentaria, presenta nettamente la chiave del suo rebus, che, per quanto riguarda il Risorgimento italiano, sentenzia che esso «fu solo squallidamente ateo-massonico, fu solo longobardo allobrogico, fu solo l’alibi di un piano criminoso diligentemente ideato e messo a punto a Torino che (asseveratori di lusso i massoni di Francia e di Inghilterra) s’aveva da attuare immancabilmente e a morte di subito: piemontesi e lombardi correndo il rischio di finire fagocitati, masticati e sputati o inghiottiti senza pietà (ahi, perdita irreparabile… ,) dall’aquila bicipite asburgica» (p. 125). Il debito che Manna aveva contratto con il Sud che fu, adesso è finalmente saldato, scritto papale papale.
Per fare, però, l’Italia degli Italiani, per fare l’Italia vera ce oltre che una, per fare l’Italia italiana che stiamo aspettando dal momento in cui ci fu detto, con un proclama di parole e non di fatti, di averla fatta, tanti ragazzi nostri, puri, belli, puliti dentro e fuori, non possono continuare a morire nel corpo o negli ideali. Il nostro problema, ribadisce tormentosamente Manna, è ancora l’unificazione italiana e la par condicio fra tutte le popolazioni unificate: robette che ci spettavano per diritto e che stiamo ancora aspettando, dal 1860, anzi da prima: da quando Italia era il Sud.