Nota Introduttiva di Lorenzo Terzi
Dopo la scomparsa di Angelo Manna, avvenuta nel 2001, la famiglia dello scrittore, giornalista e politico napoletano trovò nel suo computer le bozze pressoché complete di alcuni saggi storici risalenti all’ultimo periodo della sua vita, quando “Mister Tormentone” si era ritirato ad Acerra a studiare e a scrivere.
Fu quindi costituita l’Associazione “Amici di Angelo Manna”, con lo scopo di promuovere la divulgazione dell’ opera manniana, nonché la pubblicazione postuma degli inediti. I titoli finora dati alle stampe sono: Partenope, le Sirene e Ulisse (Napoli, Giannini, 2004), ‘O mmio. Contiene ‘o buono e ‘o malamente assai (Napoli, Guida, 2008), Quando Italia era solo il Sud (Napoli, Luciano 2010), A ciascuno il suo (Napoli, Homo Scrivens, 2013), cui si deve aggiungere la seconda edizione di Care paisane del 2002.
L’ultimo, più ambizioso scritto non ancora conosciuto di Manna viene adesso alla luce, di nuovo per i tipi della casa editrice Homo Scrivens diretta da Aldo Putignano. Si tratta di una monumentale monografia sulla dinastia angioina di Napoli, redatta nel consueto, inconfondibile linguaggio “barocco” e polemico, caratteristico della prosa di “Don Angelo”.
Una prima, accurata lettura è stata effettuata da Aldo Minucci che immediatamente ha intuito trattarsi di un testo di alto livello scientifico, «opera di un ricercatore indefesso e appassionato che porta avanti un personale discorso sulla “malvagità” della dinastia angioina e sulle gravi responsabilità morali e politiche del Papato di Roma e di Avignone». Per la serietà della ricerca e nella considerazione che il lavoro si rivolge prevalentemente al mondo accademico, il Minucci esprimeva l’avviso che il testo andasse opportunamente emendato dalle ricorrenti espressioni in napoletano, soprattutto se “colorite”.
Pur comprendendone le ragioni, si è però scelto di non modificare l’opera; e ciò unicamente nel precipuo intento di non snaturare quelle che sono le peculiari caratteristiche dell’ Autore, l’inconfondibile stile, il temperamento vivace, la terminologia sanguigna e provocatoria.
Il lavoro sugli Angiò, così come si presentava, è stato quindi sottoposto a una lunga operazione di editing, portata avanti da chi scrive in collaborazione con i fratelli di Angelo, Aldo e Nino Manna. Gli interventi di revisione sono minimi, improntati alla conservazione del testo reperito.
Nel computer dello storico partenopeo il lavoro era ripartito in tre volumi; la triplice divisione è mantenuta nell’edizione presente, anche se si è preferito raccogliere lo scritto in un volume unico. Un paio di capitoli presentavano lacune testuali: si è deliberato, anche in questo caso, di evitare aggiunte arbitrarie ed eccessivamente lunghe. Sono state quindi interpolate solo le integrazioni strettamente necessarie a terminare i periodi lasciati in sospeso e a restituire loro un senso compiuto.
Le scelte editoriali si sono dimostrate più complesse, invece, per quanto riguarda il finale dell’ opera. Esso, infatti, è pervenuto in tre versioni differenti, parzialmente sovrapponibili. Sembra lecito ritenere non soltanto che l’autore, sol che ne avesse avuto il tempo, avrebbe unificato le tre stesure, ma che si sarebbe sobbarcato anche la fatica di rendere la redazione terminale più armonica e completa. In ogni caso, la decisione relativa a quest’ultima parte degli Angiò di Napoli è consistita nell’unificare le versioni giunte sino a noi, eliminando le sovrapposizioni e inserendo gli indispensabili raccordi.
Una diversa impostazione di questo limitato contributo sarebbe stato un temerario e improbabile tentativo di imitazione dello stile inconfondibile dell’ Autore.